Rete di consulenze professionali:
Consulenza medico specialistica Psichiatrica per i casi in cui si renda
necessaria oppure opportuna una terapia che comporti l’associazione tra
psicoterapia e l’utilizzo di farmaci (Terapia associata).
Consulenza in Psicologia Giuridica.
Consulenza medico specialistica andrologica e
ginecologica per gli accertamenti clinici preliminari laddove questi si rendano
utili per determinare la presenza anche di eventuali componenti di origine
organica nei disturbi che necessitano di una terapia sessuologica (Ansia da
prestazione, disturbo dell’erezione, mancato eccitamento maschile e femminile
ecc.).
Nel caso di malattie di pertinenza medica, (cardiopatie, patologie oncologiche
e più in generale le diverse patologie croniche ) l’intervento psicologico è
finalizzato a diminuire il carico di angoscia e si propone come aiuto ad
elaborare i cambiamenti talvolta radicali, rispetto all’immagine mentale di sé,
che una persona si trova ad affrontare quando viene colpito da una malattia,
con il carico emotivo che ciò comporta per i cambiamenti di prospettive nella
vita propria del soggetto e dei suoi famigliari.
Naturalmente il medesimo principio riferito alla necessità di una
collaborazione tra lo Psicologo che conduce la Psicoterapia e
gli altri Specialisti Medici riguarda tutto il capitolo dei disturbi
dell’alimentazione, nei quali il corpo diventa il teatro drammatico di tutta
una serie di atti di controllo ossessivo e di disconoscimento dei suoi bisogni
essenziali che hanno molteplici conseguenze negative sul suo funzionamento.
Per situazioni di separazione, divorzio, danno alla persona, cause di lavoro,
mobbing, stalking il nostro studio dispone di consulenti esperti in Psicologia
Giuridica e CTU ovvero consulenti tecnici d’ufficio per i tribunali, oltre che
di una stretta collaborazione con studi legali, dotati sia di specialisti in
diritto civile che di specialisti in diritto del lavoro.
Decisione sul tipo di trattamento:Consulenza ( Consultazione, Counseling); Psicoterapia breve
;Psicoterapia.
In che cosa consiste il
trauma in tempi di covid-19 e come affrontare le conseguenze
psicologiche che ne sono derivate?
Centinaia
di milioni di contagi da SARS CoV-2 ma ormai si cominciano a contare a milioni
anche i morti, e la pandemia fatica ancora ad arretrare; in questi anni stiamo
vivendo un evento totalmente inaspettato e drammatico che ha cambiato in un
tempo brevissimo tutte le nostre consuetudini (Anche se in ambito scientifico
da tempo era stato segnalato come evento altamente probabile): a causa di ciò
sono state deliberate tutta una serie di regole, che vanno dalle forti
restrizioni al potersi muovere liberamente e di conseguenza, inizialmente al
fermo quasi totale di molte attività produttive, compreso il turismo che è una
delle fonti economiche e di lavoro più importanti dell’Italia, alla limitazione
radicale dell’attività scolastica con le lezioni a distanza.
Attualmente
si è cercato di rimettere tutto in moto per evitare una paralisi generale insostenibile, a cominciare dall’attività industriale, dove
sembra che la produzione stia riprendendo a pieno ritmo, nel commercio con la
progressiva riapertura dei negozi e dei centri commerciali, con il ritorno a
scuola in presenza ecc.; per quanto si stia navigando a vista, data la
persistenza dei contagi dovuti principalmente al succedersi delle varianti del
virus e malgrado alcuni settori, da quello turistico, ma anche quelli della
somministrazione, dello spettacolo e altri, si trovino ancora in sofferenza.
Situazioni che normalmente non inducono la paura, possono invece in questa
circostanza suscitarla, maggiormente in chi è ansioso, ma data la situazione
anche in chi non lo è.
Ad esempio durante i mesi del lockdown decretato a causa del covid-19, il
centro commerciale, normale meta anche attrattiva e gradita da molti fino a prima della pandemia, luogo
abituale di affollamento disinvolto, ha rappresentato uno dei più pericolosi
luoghi di contagio, così pure le discoteche, i ristoranti, i bar, i teatri, i
musei ecc. ecc.; insomma i luoghi della socialità, della ricreazione e della
cultura fruita attraverso il piacere della bellezza condivisa, nel giro di
qualche settimana hanno dovuto essere pensati come siti pericolosi da evitare o
da frequentare con tutta una serie di limitazioni e precauzioni .
Tutto ciò ha creato uno stato di apprensione e inquietudine che si sta
protraendo ormai da molti mesi nella popolazione e mentre la stragrande
maggioranza delle persone ne riconosca la necessità e nonostante le decisioni
sulle misure da prendere, più o meno restrittive, siano state oggetto di
discussione spesso controversa a livello istituzionale, da più parti non sono
mancate anche aspre critiche come conseguenza di uno stato reattivo
all’angoscia, che gli esseri umani
possono mettere in atto di fronte a situazioni di grave pericolo; in altre parole le contestazioni alle
limitazioni quando hanno assunto i
connotati di una protesta a tutto campo, è probabile che stessero a
indicare una tendenza al rifiuto di riconoscere la realtà di un fatto
traumatizzante.
Più in generale, al di là delle disposizioni dei DPCM, che raccomandano di
tenersi a debita distanza gli uni dagli altri e di indossare le mascherine,
soprattutto nei luoghi di incontro o dovunque ci sia un assembramento, anche
all’aperto, si aggiunge che l’eventualità di un contagio può indurre una grande
apprensione e perfino paura di doversi incontrare con parenti e amici, e di
trovarsi a stretto contatto con loro, un
vero e proprio stravolgimento delle consuetudini che fino a prima del
covid-19 erano ritenute ovvie come gli
abbracci o le strette di mano.
La socialità che è alla base delle relazioni tra le persone, è stata
fortemente condizionata dalla paura del contagio al punto che il semplice incontrarsi
per strada è stato vissuto come una minaccia, l’altro è stato visto con timore
e sospetto in ogni luogo in cui ci si poteva imbattere in assembramenti, oppure
semplicemente in fila in attesa del proprio turno. L’altro col quale si poteva
anche solidarizzare adesso poteva essere l’untore; tutto ciò appare come se
l’umanità fosse giunta sull’orlo di un precipizio.
Dai primi lockdown a oggi le
cose fortunatamente sono molto cambiate, ma la ripresa della vita sociale con il ritorno a pieno ritmo della
produzione, della scuola in presenza e della possibilità di frequentare i
locali, non ha ripristinato una continuità con la situazione precedente.
Limitazioni e quarantena hanno costituito quello che è stato definito come un
esperimento sociale planetario, ovvero
dal titolo di un articolo sul sito del world economic forum ‘ Il lockdown è il più grande esperimento
psicologico del mondo e ne pagheremo il prezzo’. Nel medesimo articolo viene
commentato che se da un lato il mondo si è dato da fare per curare e
prevenire la pandemia approntando
vaccini e farmaci aumentando i turni nelle strutture sanitarie e allestendo
anche ospedali da campo, dall’altro lato non vi è stato l’approntamento di una
‘seconda tenda’ per affrontare le conseguenze psicologiche della pandemia e
delle restrizioni imposte che ne sono derivate.
Molte persone che sono dovute rimanere in
quarantena, ancor più hanno manifestato
disturbi psicologici con un incremento di sintomi da stress con umore
depresso, ansia, irritabilità, instabilità emotiva, stress post traumatico;
mentre le conseguenze più comuni sono state il calo dell’umore e
l’irritabilità. L’entità di queste reazioni correlate allo stress, le cui
conseguenze rimarranno per diverso tempo anche dopo la pandemia, è stata
particolarmente elevata nei genitori che hanno dovuto affrontare la quarantena
con i bambini, nei giovani in isolamento con didattica a distanza e di
rilevanza ancor più grave negli operatori sanitari in stretto contatto con i pazienti.
È evidente che tutto ciò ha condizionato profondamente e
quindi continuerà a influenzare per molto tempo i vissuti relativi allo ‘spazio
interpersonale’, vale a dire
lo spazio che è rappresentato da quella
distanza che le persone mantengono tra sé e gli altri ed
è lo
spazio che manteniamo tra noi e gli altri per sentirci a nostro agio, i
l
quale può essere modulato da fattori situazionali e da caratteristiche
individuali.
Naturalmente
al di là delle caratteristiche
individuali, in questi anni di pandemia, i fattori situazionali sono
stati preponderanti: ovvero la necessità di mantenere la distanza fisica tra le
persone, le limitazioni alla socialità in quasi tutte le sue forme, le
controversie sul green pass o i tamponi nei luoghi di lavoro, l’uso delle
mascherine che occultano parte del volto, lo stress e l’ansia persistenti.
Trattandosi di un accadimento che non coinvolge solamente il singolo individuo ma le intere
popolazioni di tutti gli stati del mondo, i fatti conseguenti continuano a
suscitare forti discussioni e polemiche su come si debba intendere la
condizione di ‘Libertà’, che vuole essere il principio dichiarato sul quale si
fondano soprattutto le moderne società democratiche; tematica portata alla
ribalta conseguentemente alle limitazioni anticovid decretate e a come si debba
o meno differenziare, relativamente alla libertà di movimento, chi si sottopone
alle vaccinazioni e chi le rifiuta. ( Qui si apre la dialettica tra il pensiero
scientifico con la conseguente ricaduta tecnologica, che attualmente tende
sempre più a determinare le decisioni in ambito politico economico, e
l’attività immaginativa che si esprime con la radicalizzazione del concetto di
libertà, in quanto il pensiero scientifico tecnologico attualmente sembra voler
definire oggettivamente cosa sia l’uomo, piuttosto di chi sia l’uomo
soggettivamente).
Ma ciò che ha creato più sgomento è stata la smentita clamorosa della
convinzione alquanto diffusa che tutte
le malattie fossero, se non guaribili, almeno curabili, tanto più quelle da
virus, al punto che da un po’ di tempo si è alquanto diffusa l’idea che si
possa fare a meno delle vaccinazioni in quanto secondo alcune opinioni,
attualmente i rischi superano i benefici, dato che possono verificarsi in casi
particolari, per quanto raramente, reazioni avverse ai vaccini; ma queste prese
di posizione si affermano nei paesi nei quali è garantita la tutela della
salute, ciò dando per assodato che nei paesi occidentali l’età media è
cresciuta in pochi decenni progressivamente fino a raggiungere e superare di molto
gli 80 anni e anche ad arrivare abbastanza frequentemente ai 90, inoltre
l’accesso alle cure mediche ha avuto un incremento così notevole, tale da
consentire interventi sanitari a livelli impensabili fino a un paio di
generazioni fa; (in fondo in un paese dove c’è abbondanza di cibo, talvolta si
può anche digiunare!)
Gli eventi che stanno
accadendo, hanno determinato in larghi strati della popolazione, una reazione
psicologica che va ben oltre la paura, perché non si tratta di una conseguenza
emotiva di fronte a un oggetto ben individuabile, che consenta almeno di
adottare delle contromisure consuete e certe, come accade quando di qualcosa se
ne conosce bene il funzionamento e perciò si possa relegare in un’area
definita; a parte la competenza in materia della comunità scientifica, che a
volte ovviamente non può offrire alla gente un’informazione lineare e univoca
in proposito, in quanto la scienza procede per ipotesi plausibili che vanno
verificate attraverso procedure complesse che comportano anche prove ed errori.
Dunque, in mancanza definizioni certe e indicazioni non contraddittorie, anzi
con il contributo dei social che hanno ormai un effetto moltiplicatore delle
notizie, anche quelle inattendibili, è molto probabile che nelle persone si
diffonda una reazione non solo di paura ma anche di angoscia.
Improvvisamente
il mondo, che fino a poco prima, per quanto fosse grande e variegato, era tutto facilmente
raggiungibile e interconnesso, diventa troppo angusto e stretto nella morsa del
contagio: esplode un panico claustrofobico. Se si potesse molti emigrerebbero
in un altro pianeta, oppure avrebbero voluto che una specifica nazione,
all’inizio la Cina, in seguito l’Italia intera ( prima una sola regione, la
Lombardia o addirittura un singolo paese, per giorni più citato di NY come
Codogno ), fosse il contenitore della malattia, come una sorta di lazzaretto
facilmente circoscrivibile. Questa Terra dalla grandezza esplorabile con agio e
curiosità, tra nord e sud, est e ovest, improvvisamente si restringe e soffoca,
toglie il respiro per l’angoscia, proprio come l’infezione polmonare da
coronavirus.
Infatti
la comunità si trova di fronte a un’entità biologica incontrollabile, che non
rispetta nessun confine.
Il virus
possiede una qualità oggettiva, meccanica, senza altro scopo se non una
replicazione continua, paradossalmente speculare alla tecnica che avrebbe
dovuto accompagnarci nel regno della sicurezza; una sicurezza tanto agognata,
perché è sempre presente in noi, anche allo stato latente soprattutto se lo neghiamo a noi stessi, un
senso di precarietà e di fragilità.
Il
virus è arrivato e agisce indisturbato in quanto ancora non sottoposto pienamente al nostro controllo,
come si riteneva di poter fare di tutti
gli aspetti e i fenomeni della natura; per quanto sia stato posto un
argine provvidenziale con la
realizzazione in tempi record di vaccini, che sono comunque oggetto di critica
in quanto questi stessi dispositivi oltre a provocare sia pure molto raramente
reazioni avverse non hanno e non possono avere un effetto miracoloso. Sembra
che da parte di alcuni si pretenda che per acquisire credibilità, le
applicazioni tecniche delle conoscenze scientifiche, soprattutto in ambito
medico, debbano possedere delle proprietà taumaturgiche assolute; come una
sorta di una nuova religione che diventa credibile allorché compie miracoli.
Tornado
alle cose terrene, ovvero alla realtà del virus, la sua azione non fa
distinzioni individuali e di confini, è indifferente e per noi appare spietata,
ma solo perché la pietà è una qualità che attribuiamo all’umano e non vorremmo
avere a che fare con qualcosa di alieno come un virus. In fondo l’umanità fin
dalle sue origini ha sempre cercato di negoziare con gli eventi e le forze
della natura attribuendo a esse delle qualità animistiche o antropomorfe; anche
le grandi civiltà lo hanno fatto con la costruzione narrativa di elaborate
cosmogonie popolate da divinità di ogni sorta.
Allora
Il trauma:
Tutto
quello che sta avvenendo, inopinato, senza alcuna volontà consapevole, ha fatto
si che la diffusione del virus, così inaspettata e repentina abbia provocato un trauma, da cui ne consegue
una reazione di angoscia che è amplificata dalla sua dimensione collettiva.
Questo giustifica,
anche se non
convalida,
in parte coloro che sposano le teorie complottiste, ovvero per
costoro è preferibile pensare che qualcuno lo ha creato il virus e lo sta
gestendo per manipolare il mondo. Ciò costituisce una sorta di negazione del senso di impotenza nei
confronti della malattia: qualcuno la manovra e prima o poi si scoprirà il
segreto, per non subire passivamente la condizione di vittime impotenti. A
tutto questo, se ci addentriamo nella soggettività, si aggiunge il disagio
emotivo intimo e profondo delle singole persone: il senso di precarietà e di
morte hanno fatto irruzione nella nostra vita quotidiana. Fino a poche
generazioni fa le malattie infettive e
parassitarie, la mortalità infantile, e le guerre sono state le cause
principali della instabilità e delle incertezze dell’esistenza. Ciò
costituiva la condizione comune e normale di essere precari in questa vita,
sovraccaricata di ulteriori apprensioni come la povertà, la fame, i lavori duri
e usuranti ecc. oltre alla consapevolezza della sua transitorietà e sembra quasi impossibile che le persone in
passato potessero vivere felici, desiderare, fare progetti.
Da
alcuni decenni ci eravamo abituati a vivere con un livello di tutela della
salute e di possibilità di cure mai raggiunto nella storia dell’umanità,
inoltre con la certezza che nonostante le tensioni internazionali, non solo nel
mondo occidentale ma anche nei paesi emergenti si sarebbe verificata una
crescita economica e un’evoluzione progressiva
nella cultura e nelle abitudini, come effetto positivo della
globalizzazione. L’avvenire, nonostante il persistere nel mondo di grandi
differenze nella possibilità di accedere ai presidi sanitari e malgrado il
sussistere di focolai e conflitti locali, si prospettava in un orizzonte
propizio e promettente: le cose non potevano che migliorare. La pandemia di
COVID-19 in questi anni ha provocato un forte ridimensionamento di tutto ciò,
spesso al punto da arrivare in molti casi a oscurare la visione del futuro.
Tante
persone hanno subito la perdita di uno o a volte più familiari senza aver
potuto assisterli negli ultimi istanti di vita a causa dell’isolamento nel
quale erano confinati in ospedale per evitare i contagi. Ma il distacco
forzato, se ha evitato il pericolo dell’infezione, non ha certamente evitato il
dolore difficilmente risanabile del mancato accompagnamento del proprio
congiunto verso l’epilogo della sua esistenza. L’impatto psicologico causato da
queste disposizioni ritenute necessarie, è stato di una separazione che ha
arrecato una grave lacerazione emotiva:
la cura di questa ferita necessiterà di un profondo processo di
elaborazione del lutto.
Il
ruolo sempre maggiore della visione e della prospettiva scientifica e
tecnologica nella definizione degli esseri umani (‘Cosa’ siamo che tende a
oscillare fra la dialettica e la contrapposizione con ‘Chi’ siamo), ne determina le scelte e i
comportamenti conseguenti: la conseguenza può indurre una procedura oggettiva
che elimina le differenze. Nel momento in cui le decisioni pratiche vengono
prese in funzione di paradigmi scientifici, è opportuno tenere presente che la
scienza non è la verità rivelata, ma una certezza provvisoria e temporanea
basata sulle conoscenze del momento. La scienza deve necessariamente evolvere
ed essere oggetto di continui aggiustamenti e trasformazioni, man mano che
progrediscono le conoscenze.
In
queste conoscenze deve rientrare una pratica scientifica che comprenda anche la
consapevolezza e lo studio della mente
umana per quello che riguarda la soggettività, in particolare la dimensione
emotiva e relazionale, in quanto le decisioni che vengono prese
conseguentemente alle competenze scientifiche e tecnologiche, determinano
modificazioni che incidono profondamente nella psicologia umana. Si è infatti
potuto vedere come sia stato difficile gestire i contrasti provocati dalle
regole da seguire nel corso della pandemia e dal modo in cui è stata affrontata
l’emergenza: vaccinazione si, vaccinazione no, va resa obbligatoria o no,
obbligatoria per alcune professioni, in alcuni luoghi di lavoro, derogabile per
alcune classi di persone, inderogabili le mascherine per gli esercizi
commerciali, in seguito le polemiche sull’obbligatorietà del green pass ecc.
Tutto ciò perché la scienza non fornisce verità
assolute e non può affermare di conoscere e prevedere alla perfezione
l’evoluzione della malattia e del virus,
inoltre non può asserire che i vaccini sono efficaci in modo infallibile e che
sono assolutamente innocui; la scienza medica può offrire conoscenza e cure che
hanno una buona validità statistica e non può fare miracoli. Quindi la politica
deve sapersi destreggiare in questa complessità cercando di contemperare le
esigenze di libertà dei singoli con quelle della comunità, con le attività
economiche e produttive, con l’istruzione scolastica e la tutela della salute
pubblica.
L’esigenza
di salvaguardare la salute generale arginando i contagi, ha determinato anche
la necessità di vietare o limitare
fortemente l’ingresso in ospedale dei congiunti dei ricoverati di tutte le
patologie, anche quelle non Covid-19.
Questa
disposizione per quanto forse inevitabile, non consente alla persona degente di
ricevere il supporto emotivo più che mai necessario quando ci si trova a
fronteggiare problemi di salute;
attendere la visita dei propri familiari e amici quando si è ricoverati
è una certezza carica di significato affettivo, attesa come una necessità in
una circostanza così carica di incertezza come la malattia.
Anche i
familiari dei pazienti ospedalizzati per COVID-19 sono esposti a minacce di
perdita in vari ambiti: perdita di una persona cara, del lavoro, della
sicurezza economica, dei contatti sociali e dell’autonomia di muoversi
liberamente nel mondo. Inoltre l’eventuale perdita di
un proprio congiunto, in queste circostanze può provocare cordoglio
prolungato, caratterizzato da struggenti sentimenti di perdita accompagnati da
rabbia, colpa, e altri sintomi indicativi di un intenso dolore emotivo come
pensieri intrusivi e senso di vuoto e di mancanza di significato; anche la capacità di parenti e amici di fornire
supporto emotivo può essere compromessa, qualora questi si trovino a loro volta
fronteggiare dei problemi di salute, di lavoro, economici o pratici che li
preoccupino.
La cura di queste ferite e delle conseguenze che coinvolgono una gran
quantità di persone, necessiterà di un
profondo processo di elaborazione del lutto.
Quando,
come si spera, l’emergenza sarà rientrata, è presumibile che passata
l’angoscia, persisterà un’ansia generale come segno di una forte preoccupazione relativa a quanto
potrebbe ancora accadere. Le contraddizioni e soprattutto le contrapposizioni
che hanno coinvolto troppo spesso coloro che hanno le responsabilità
decisionali su come affrontare la crisi, hanno determinato un’amplificazione
del trauma, aumentando l’angoscia e creando disorientamento nella popolazione,
qualcosa di simile al trauma causato nei figli da genitori inaffidabili e
incapaci di proteggere.
Il periodo angoscioso e complicato che stiamo vivendo ci impone di capire
cosa stia succedendo nel profondo di noi stessi e per di più dobbiamo andare a vedere cosa accade nella
vita concreta delle relazioni. Che cosa ne facciamo del nostro essere in
relazione, tenuto conto dei
cambiamenti indotti dalle limitazioni alla vita sociale imposte dalla pandemia e di
conseguenza il fatto di avere aumentato in modo massiccio il ricorso alla
connessione coi dispositivi digitali in ogni settore della nostra vita:
relazioni con la famiglia allargata, smart working, didattica a distanza ecc.?
In una fase storica nella
quale in occidente sono franate le grandi ideologie, senza che siano state in
grado di attenuare la conflittualità tra gli stati e le fedi storiche sono
ridotte a una luce flebile, le leggi del mercato e l’individualismo imperante
non consentono l’emersione di una spinta collettiva che possa possedere la
potenzialità trasformativa per mitigare
le contraddizioni presenti in tutto il mondo. Attualmente
i processi globali in corso fanno si che l’individuo si trovi inserito in un
labirinto di ‘affollate solitudini’ per cui fatica a sentirsi parte di una
collettività e il vuoto che egli percepisce tra sé e gli altri si traduce in un
senso di impotenza; si è potuto constatare che le
contraddizioni si sono evidenziate anche nella pandemia da Covid-19 non solo
per l’impreparazione delle organizzazioni sanitarie, ma soprattutto con il procedere in ordine sparso da parte
dei vari stati e con gli egoismi nazionalisti, specialmente nella fasi
iniziali, anche se successivamente, per fortuna, la situazione è migliorata
dietro la spinta del numero enorme dei
contagi e il dramma delle morti.
La
necessità di una ripresa vitale dopo il trauma planetario della pandemia da
Covid-19 può rappresentare anche la possibilità di mettere in atto un processo,
che parta per ognuno da una scelta individuale, che offre l’occasione di un
recupero radicale del valore della propria soggettività a partire dal dramma
comune. Ciò è reso possibile cercando di sintonizzarci e di immedesimarci con
il modo in cui oltre a noi, altre persone hanno vissuto gli accadimenti di
questo periodo:chi ha avuto il dolore
della perdita delle persone care, coloro che si sono ammalati gravemente, chi
ha perso il lavoro o lo ha diminuito e invece chi ha mantenuto o accresciuto le
proprie condizioni economiche, chi non ha potuto avere accesso alle cure come
nei paesi poveri. Siamo giunti a un punto in cui il rischio della dispersione
dei singoli esseri umani e lo sfilacciamento della coesione sociale, richiede
rimedi urgenti e un contributo a riattivare la connessione tra gli individui e
la società, può essere fornito anche dalla capacità di immedesimazione
empatica.
L’immedesimazione
che è resa possibile dall’empatia, vale a dire la manifestazione umana specifica del nostro
essere in relazione con gli altri, si esprime su diversi livelli di
consapevolezza e responsabilità, relativamente alla capacità di condividere
l’esperienza emotiva e mentale degli altri individui. Se consideriamo una
qualità evoluta di empatia che condensando sia aspetti cognitivi che affettivi
positivi promuove la vita sia propria
che dell’altro, ci riferiamo a un genere di empatia che si esplica nella capacità di apprezzare
il fatto che anche le altre persone sono dotate di una mente e vivono emozioni
e sentimenti. Un assetto mentale che si avvale della capacità della mente di
immaginare quindi di immedesimarsi, superando le differenze tra le persone e di
costruire connessioni tra la propria esperienza e quella degli altri; un
orientamento della nostra mente che apre a una comprensione più profonda di Sé
in relazione agli altri e al mondo.
In questo
modo è possibile ampliare e approfondire grandemente il nostro proprio vissuto
e quindi acquisire una più ampia conoscenza di noi stessi e una maggiore
consapevolezza della nostra esperienza
di vita.