PSICOLOGO MILANO

PSICOLOGO MILANO

Approfondimenti

 
Esponiamo il dettaglio dei servizi offerti:

Rete di consulenze professionali:

Consulenza medico specialistica Psichiatrica per i casi in cui si renda necessaria oppure opportuna una terapia che comporti l’associazione tra psicoterapia e l’utilizzo di farmaci (Terapia associata).
Consulenza in Psicologia Giuridica.

Consulenza medico specialistica andrologica e ginecologica per gli accertamenti clinici preliminari laddove questi si rendano utili per determinare la presenza anche di eventuali componenti di origine organica nei disturbi che necessitano di una terapia sessuologica (Ansia da prestazione, disturbo dell’erezione, mancato eccitamento maschile e femminile ecc.).

Nel caso di malattie di pertinenza medica, (cardiopatie, patologie oncologiche e più in generale le diverse patologie croniche ) l’intervento psicologico è finalizzato a diminuire il carico di angoscia e si propone come aiuto ad elaborare i cambiamenti talvolta radicali, rispetto all’immagine mentale di sé, che una persona si trova ad affrontare quando viene colpito da una malattia, con il carico emotivo che ciò comporta per i cambiamenti di prospettive nella vita propria del soggetto e dei suoi famigliari.

Naturalmente il medesimo principio riferito alla necessità di una collaborazione tra lo Psicologo che conduce la Psicoterapia e gli altri Specialisti Medici riguarda tutto il capitolo dei disturbi dell’alimentazione, nei quali il corpo diventa il teatro drammatico di tutta una serie di atti di controllo ossessivo e di disconoscimento dei suoi bisogni essenziali che hanno molteplici conseguenze negative sul suo funzionamento.

Per situazioni di separazione, divorzio, danno alla persona, cause di lavoro, mobbing, stalking il nostro studio dispone di consulenti esperti in Psicologia Giuridica e CTU ovvero consulenti tecnici d’ufficio per i tribunali, oltre che di una stretta collaborazione con studi legali, dotati sia di specialisti in diritto civile che di specialisti in diritto del lavoro.
Decisione sul tipo di trattamento:Consulenza ( Consultazione, Counseling); Psicoterapia breve ;Psicoterapia.

Decisione sul tipo di trattamento:

Per decidere il trattamento, in primo luogo occorre un’ osservazione del singolo caso per procedere ad una valutazione che sia coerente con i principali modelli teorici scientificamente fondati, in quanto si ritiene opportuna la flessibilità nell’utilizzo e nell’applicazione dei differenti modelli in relazione alle diverse problematiche presentate dalle singole persone.

a) consulenza (Consultazione, Counseling)

La Consultazione: In generale si può dire che la Consultazione (Consulenza, Counseling), è indicata in tutti quei casi in cui la persona è alle prese con un problema circoscritto, relativo a un momento attuale della propria vita, che determina dubbi ed esitazioni nel prendere una decisione oltre a creare uno stato di disagio e preoccupazione per sé e per le persone con le quali è in relazione.

b)psicoterapia breve

La Psicoterapia breve è indicata nei casi in cui la persona manifesta dei sintomi che sono insorti a seguito di un evento stressante circoscritto e individuabile, oppure sono connessi ad altri fattori contingenti come cambiamenti di vario tipo nella propria vita – lavoro, ciclo di studi, relazioni sentimentali, distacco dalla famiglia d’origine ecc. – che provocano uno stato di sofferenza marcata provocata da sintomi quali: ansia, tristezza, irritabilità, apprensione, facile affaticabilità, dolorosità indefinite, nausea, diarrea, difficoltà a concentrarsi, alterazioni del sonno, sensazioni di estraniazione, sentirsi staccato come se si fosse un altro che osserva il proprio comportamento e i propri pensieri ecc.

Occorre precisare che la serie di sintomi sopraelencata, che peraltro potrebbe essere di molto allungata, non denota necessariamente un disturbo psichico profondo ( Sindrome) – come una depressione, un disturbo d’ansia generalizzato o un disturbo di personalità ecc.- ma un sintomo o più sintomi insieme avvertono semplicemente che la persona sta reagendo emotivamente a una situazione, cosa di per sé normale, ma che queste reazioni tendono a protrarsi nel tempo e ad essere insolitamente intense al punto da sfuggire al proprio consueto controllo.

c) psicoterapia

Un percorso di Psicoterapia più approfondito è particolarmente indicato nei casi in cui l’insieme dei sintomi è così pervasivo, persistente nel tempo e ha determinato nel corso degli anni disagi e sofferenze che hanno anche impedito, talora, di raggiungere mete evolutive auspicabili; che ciò dipenda principalmente dai ‘tratti di personalità’ del soggetto o dal contesto relazionale nel quale egli è inserito o come più spesso si dà il caso da entrambi i fattori combinati, i livelli di problematicità e di sofferenza presenti richiedono in ogni caso una rielaborazione approfondita delle proprie tematiche esistenziali e un lavoro psichico finalizzato al cambiamento e all’evoluzione delle proprie modalità di regolazione emotiva e di elaborazione mentale delle esperienze di vita.

In conclusione, la scelta delle modalità di intervento pertinenti al caso vengono effettuate sulla base della natura del problema e del tipo di richiesta. Ciò si fonda su di un criterio di riferimento che considera la psicoterapia come una pratica sempre orientata verso il caso particolare; la pratica si sostanzia in un’attitudine alla ricerca, alla scoperta e alla sistematica riflessione sulle proprie affermazioni e convinzioni che si vanno formando nel corso dell’andamento della relazione terapeutica. Di modo che la finalità e gli obiettivi scaturiscono esclusivamente nel corso di un procedimento caratterizzato dal meditare su quale sia l’azione più avveduta da compiere in una determinata situazione specifica.

Interdisciplinarità

Interdisciplinarità-Psicosomatica Nel corso di una psicoterapia si possono riattivare forti aspettative di sviluppo di diversi aspetti potenziali del sé, inesplorati o bloccati da vicende traumatiche; contemporaneamente sorge il desiderio di un senso di una propria unità ideale che attraversa il passato, il presente e si proietta nel futuro,che comprende la corporeità nelle sue molteplici manifestazioni. Il corpo con la propria esposizione alle malattie somatiche e alla morte, ricorda prepotentemente attraverso il dolore e la sofferenza, la propria finitezza; anche per questo richiama alla mente dell’uomo una grande nostalgia per una totalità che dia un senso all’esistenza (Thomä,Kächele,1992).

Diverse sono le situazioni in cui la sofferenza del paziente assume un’espressività somatoforme: le condizioni più frequenti sono riscontrabili nei disturbi di somatizzazione che spesso compaiono associati ai disturbi d’ansia e dell’umore;inoltre allo stato attuale delle conoscenze, si può ipotizzare una concomitanza aspecifica di fattori psichici, a diversi gradi di significatività, relativamente all’insorgenza e al decorso di malattie somatiche, a cominciare da quelle di cui si è occupata tradizionalmente la medicina psicosomatica; ciò a partire dal presupposto che le condizioni di malattia vanno inquadrate in una prospettiva multifattoriale.

Occorre premettere che in psicoterapia è possibile prendere contatto con il corpo attraverso il vissuto corporeo del paziente che si riferisce all’immagine del corpo, cioè ai rappresentanti ideativi consci e inconsci che il soggetto ha dell’esperienza della propria corporeità. Tutto ciò si colloca su un piano diverso dal corpo inteso in senso esclusivamente biologico; la psicoterapia quindi,è diretta al vissuto psichico del paziente e non direttamente al corpo di cui si occupa la medicina scientifico-naturalistica.

Ciò comporta la necessità di un approccio complesso, interdisciplinare,che se da un lato limita fortemente la fantasia di poter realizzare il sogno di completezza totale e unità perfetta di cui una teoria onnicomprensiva è la promessa, dall’altro propone un esame della realtà in cui il senso del limite, se pur doloroso,è il presupposto a un’esistenza più piena e consapevole.

Questo permette di non perdere di vista l’unità della persona, però questa volta in una prospettiva più realistica: se a partire da un unico punto di vista e da un piano metodologico circolarmente collegato ad esso si arriva a spiegare ogni fenomeno, questo comporta inevitabilmente l’esclusione di molti aspetti della realtà complessa in cui viviamo, a cominciare da ciò che non si conosce sufficientemente e che pertanto non può essere inserito coerentemente, se non con un eccesso di fantasia,in un quadro teorico che pretende di spiegare tutto. Al contrario, un accostamento al paziente che tenga conto della psiche e del corpo comporta, laddove la sofferenza del paziente lo renda necessario, la collaborazione multidisciplinare tra diverse specializzazioni.

Psicosomatica

Ciò vale sia per i pazienti con disturbi psichici che comportano disturbi di somatizzazione, sia per i pazienti affetti da malattie somatiche che comportano effetti somatopsichici e che potrebbero usufruire di una psicoterapia proprio perché tali effetti si riflettono sulle sensazioni soggettive del paziente come vissuto del corpo, il che è inestricabilmente congiunto all’immagine del corpo; per cui per mezzo della psicoterapia può favorirsi la presa di coscienza e l’attenuazione delle influenze psicologiche sui disturbi somatici.

Tra le funzioni mentali e i processi somatici, dunque sussistono delle relazioni indirette che richiedono, per la comprensione dei fenomeni psichici e somatici,un modello multifattoriale basato sulla complementarità dei sistemi di riferimento categoriale e non sull’isomorfismo dei processi psicofisici.

Salvaguardando la multiformità dei linguaggi che caratterizzano le diverse metodologie, è possibile ottenere una ricchezza di dati osservazionali che consente di studiare più adeguatamente le eventuali correlazioni tra comportamento, stati mentali e funzioni fisiologiche; in tal modo , mantenendo un’adesione alla realtà che impone il senso del limite dei diversi punti di vista, è possibile restituire una tensione che consente di approssimarsi a soddisfare i desideri di totalità e di unità per mezzo di una valutazione integrativa di riscontri e rilevazioni.

Queste considerazioni concordano con H.Ey, Bernard e Brisset quando affermano che: “La storia della medicina mostra le oscillazioni delle dottrine e della prassi fra i due poli della conoscenza medica: la malattia può essere concepita come una reazione del malato alle condizioni della sua esistenza,come una specie di errore nella condotta degli scambi con l’ambiente che lo circonda: è la dottrina ippocratica.

Oppure può essere concepita come una specie di parassita che abita lo spazio del suo corpo,una lesione nella struttura della sua concatenazione cellulare: è la dottrina inaugurata dai primi anatomici e portata ad un punto estremo di precisione dalle scoperte a catena degli ultimi cento anni. Le due correnti non hanno cessato di alimentare la medicina, l’una più “obiettiva”, l’altra più “umana”, l’una che spoglia il malato della sua originalità, l’altra che spoglia la malattia della sua figura astratta e scientifica.

Per gli uni il soggetto è malato; per gli altri ha una malattia. La contrapposizione di questi due piani è reale e feconda a condizione di intenderla come l’opposizione di due termini complementari e non come l’opposizione di due termini che si escludono”.

In che cosa consiste il trauma in tempi di covid-19 e come affrontare le conseguenze
psicologiche che ne sono derivate?


Centinaia di milioni di contagi da SARS CoV-2 ma ormai si cominciano a contare a milioni anche i morti, e la pandemia fatica ancora ad arretrare; in questi anni stiamo vivendo un evento totalmente inaspettato e drammatico che ha cambiato in un tempo brevissimo tutte le nostre consuetudini (Anche se in ambito scientifico da tempo era stato segnalato come evento altamente probabile): a causa di ciò sono state deliberate tutta una serie di regole, che vanno dalle forti restrizioni al potersi muovere liberamente e di conseguenza, inizialmente al fermo quasi totale di molte attività produttive, compreso il turismo che è una delle fonti economiche e di lavoro più importanti dell’Italia, alla limitazione radicale dell’attività scolastica con le lezioni a distanza.
Attualmente si è cercato di rimettere tutto in moto per evitare una paralisi generale insostenibile, a cominciare dall’attività industriale, dove sembra che la produzione stia riprendendo a pieno ritmo, nel commercio con la progressiva riapertura dei negozi e dei centri commerciali, con il ritorno a scuola in presenza ecc.; per quanto si stia navigando a vista, data la persistenza dei contagi dovuti principalmente al succedersi delle varianti del virus e malgrado alcuni settori, da quello turistico, ma anche quelli della somministrazione, dello spettacolo e altri, si trovino ancora in sofferenza.
Situazioni che normalmente non inducono la paura, possono invece in questa circostanza suscitarla, maggiormente in chi è ansioso, ma data la situazione anche in chi non lo è.
Ad esempio durante i mesi del lockdown decretato a causa del covid-19, il centro commerciale, normale meta anche attrattiva e gradita da molti fino a prima della pandemia, luogo abituale di affollamento disinvolto, ha rappresentato uno dei più pericolosi luoghi di contagio, così pure le discoteche, i ristoranti, i bar, i teatri, i musei ecc. ecc.; insomma i luoghi della socialità, della ricreazione e della cultura fruita attraverso il piacere della bellezza condivisa, nel giro di qualche settimana hanno dovuto essere pensati come siti pericolosi da evitare o da frequentare con tutta una serie di limitazioni e precauzioni .
Tutto ciò ha creato uno stato di apprensione e inquietudine che si sta protraendo ormai da molti mesi nella popolazione e mentre la stragrande maggioranza delle persone ne riconosca la necessità e nonostante le decisioni sulle misure da prendere, più o meno restrittive, siano state oggetto di discussione spesso controversa a livello istituzionale, da più parti non sono mancate anche aspre critiche come conseguenza di uno stato reattivo all’angoscia, che gli esseri umani possono mettere in atto di fronte a situazioni di grave pericolo; in altre parole le contestazioni alle limitazioni quando hanno assunto i connotati di una protesta a tutto campo, è probabile che stessero a indicare una tendenza al rifiuto di riconoscere la realtà di un fatto traumatizzante.
Più in generale, al di là delle disposizioni dei DPCM, che raccomandano di tenersi a debita distanza gli uni dagli altri e di indossare le mascherine, soprattutto nei luoghi di incontro o dovunque ci sia un assembramento, anche all’aperto, si aggiunge che l’eventualità di un contagio può indurre una grande apprensione e perfino paura di doversi incontrare con parenti e amici, e di trovarsi a stretto contatto con loro, un vero e proprio stravolgimento delle consuetudini che fino a prima del covid-19 erano ritenute ovvie come gli abbracci o le strette di mano.

La socialità che è alla base delle relazioni tra le persone, è stata fortemente condizionata dalla paura del contagio al punto che il semplice incontrarsi per strada è stato vissuto come una minaccia, l’altro è stato visto con timore e sospetto in ogni luogo in cui ci si poteva imbattere in assembramenti, oppure semplicemente in fila in attesa del proprio turno. L’altro col quale si poteva anche solidarizzare adesso poteva essere l’untore; tutto ciò appare come se l’umanità fosse giunta sull’orlo di un precipizio.
Dai primi lockdown a oggi le cose fortunatamente sono molto cambiate, ma la ripresa della vita sociale con il ritorno a pieno ritmo della produzione, della scuola in presenza e della possibilità di frequentare i locali, non ha ripristinato una continuità con la situazione precedente. Limitazioni e quarantena hanno costituito quello che è stato definito come un esperimento sociale planetario, ovvero dal titolo di un articolo sul sito del world economic forum ‘ Il lockdown è il più grande esperimento psicologico del mondo e ne pagheremo il prezzo’. Nel medesimo articolo viene commentato che se da un lato il mondo si è dato da fare per curare e prevenire la pandemia approntando vaccini e farmaci aumentando i turni nelle strutture sanitarie e allestendo anche ospedali da campo, dall’altro lato non vi è stato l’approntamento di una ‘seconda tenda’ per affrontare le conseguenze psicologiche della pandemia e delle restrizioni imposte che ne sono derivate.
Molte persone che sono dovute rimanere in quarantena, ancor più hanno manifestato disturbi psicologici con un incremento di sintomi da stress con umore depresso, ansia, irritabilità, instabilità emotiva, stress post traumatico; mentre le conseguenze più comuni sono state il calo dell’umore e l’irritabilità. L’entità di queste reazioni correlate allo stress, le cui conseguenze rimarranno per diverso tempo anche dopo la pandemia, è stata particolarmente elevata nei genitori che hanno dovuto affrontare la quarantena con i bambini, nei giovani in isolamento con didattica a distanza e di rilevanza ancor più grave negli operatori sanitari in stretto contatto con i pazienti.
È evidente che tutto ciò ha condizionato profondamente e quindi continuerà a influenzare per molto tempo i vissuti relativi allo ‘spazio interpersonale’, vale a dire lo spazio che è rappresentato da quella distanza che le persone mantengono tra sé e gli altri ed è lo spazio che manteniamo tra noi e gli altri per sentirci a nostro agio, i l quale può essere modulato da fattori situazionali e da caratteristiche individuali.
Naturalmente al di là delle caratteristiche individuali, in questi anni di pandemia, i fattori situazionali sono stati preponderanti: ovvero la necessità di mantenere la distanza fisica tra le persone, le limitazioni alla socialità in quasi tutte le sue forme, le controversie sul green pass o i tamponi nei luoghi di lavoro, l’uso delle mascherine che occultano parte del volto, lo stress e l’ansia persistenti.

Trattandosi di un accadimento che non coinvolge solamente il singolo individuo ma le intere popolazioni di tutti gli stati del mondo, i fatti conseguenti continuano a suscitare forti discussioni e polemiche su come si debba intendere la condizione di ‘Libertà’, che vuole essere il principio dichiarato sul quale si fondano soprattutto le moderne società democratiche; tematica portata alla ribalta conseguentemente alle limitazioni anticovid decretate e a come si debba o meno differenziare, relativamente alla libertà di movimento, chi si sottopone alle vaccinazioni e chi le rifiuta. ( Qui si apre la dialettica tra il pensiero scientifico con la conseguente ricaduta tecnologica, che attualmente tende sempre più a determinare le decisioni in ambito politico economico, e l’attività immaginativa che si esprime con la radicalizzazione del concetto di libertà, in quanto il pensiero scientifico tecnologico attualmente sembra voler definire oggettivamente cosa sia l’uomo, piuttosto di chi sia l’uomo soggettivamente).
Ma ciò che ha creato più sgomento è stata la smentita clamorosa della convinzione alquanto diffusa che tutte le malattie fossero, se non guaribili, almeno curabili, tanto più quelle da virus, al punto che da un po’ di tempo si è alquanto diffusa l’idea che si possa fare a meno delle vaccinazioni in quanto secondo alcune opinioni, attualmente i rischi superano i benefici, dato che possono verificarsi in casi particolari, per quanto raramente, reazioni avverse ai vaccini; ma queste prese di posizione si affermano nei paesi nei quali è garantita la tutela della salute, ciò dando per assodato che nei paesi occidentali l’età media è cresciuta in pochi decenni progressivamente fino a raggiungere e superare di molto gli 80 anni e anche ad arrivare abbastanza frequentemente ai 90, inoltre l’accesso alle cure mediche ha avuto un incremento così notevole, tale da consentire interventi sanitari a livelli impensabili fino a un paio di generazioni fa; (in fondo in un paese dove c’è abbondanza di cibo, talvolta si può anche digiunare!)
Gli eventi che stanno accadendo, hanno determinato in larghi strati della popolazione, una reazione psicologica che va ben oltre la paura, perché non si tratta di una conseguenza emotiva di fronte a un oggetto ben individuabile, che consenta almeno di adottare delle contromisure consuete e certe, come accade quando di qualcosa se ne conosce bene il funzionamento e perciò si possa relegare in un’area definita; a parte la competenza in materia della comunità scientifica, che a volte ovviamente non può offrire alla gente un’informazione lineare e univoca in proposito, in quanto la scienza procede per ipotesi plausibili che vanno verificate attraverso procedure complesse che comportano anche prove ed errori. Dunque, in mancanza definizioni certe e indicazioni non contraddittorie, anzi con il contributo dei social che hanno ormai un effetto moltiplicatore delle notizie, anche quelle inattendibili, è molto probabile che nelle persone si diffonda una reazione non solo di paura ma anche di angoscia.
Improvvisamente il mondo, che fino a poco prima, per quanto fosse grande e variegato, era tutto facilmente raggiungibile e interconnesso, diventa troppo angusto e stretto nella morsa del contagio: esplode un panico claustrofobico. Se si potesse molti emigrerebbero in un altro pianeta, oppure avrebbero voluto che una specifica nazione, all’inizio la Cina, in seguito l’Italia intera ( prima una sola regione, la Lombardia o addirittura un singolo paese, per giorni più citato di NY come Codogno ), fosse il contenitore della malattia, come una sorta di lazzaretto facilmente circoscrivibile. Questa Terra dalla grandezza esplorabile con agio e curiosità, tra nord e sud, est e ovest, improvvisamente si restringe e soffoca, toglie il respiro per l’angoscia, proprio come l’infezione polmonare da coronavirus.
Infatti la comunità si trova di fronte a un’entità biologica incontrollabile, che non rispetta nessun confine. Il virus possiede una qualità oggettiva, meccanica, senza altro scopo se non una replicazione continua, paradossalmente speculare alla tecnica che avrebbe dovuto accompagnarci nel regno della sicurezza; una sicurezza tanto agognata, perché è sempre presente in noi, anche allo stato latente soprattutto se lo neghiamo a noi stessi, un senso di precarietà e di fragilità.
Il virus è arrivato e agisce indisturbato in quanto ancora non sottoposto pienamente al nostro controllo, come si riteneva di poter fare di tutti gli aspetti e i fenomeni della natura; per quanto sia stato posto un argine provvidenziale con la realizzazione in tempi record di vaccini, che sono comunque oggetto di critica in quanto questi stessi dispositivi oltre a provocare sia pure molto raramente reazioni avverse non hanno e non possono avere un effetto miracoloso. Sembra che da parte di alcuni si pretenda che per acquisire credibilità, le applicazioni tecniche delle conoscenze scientifiche, soprattutto in ambito medico, debbano possedere delle proprietà taumaturgiche assolute; come una sorta di una nuova religione che diventa credibile allorché compie miracoli.
Tornado alle cose terrene, ovvero alla realtà del virus, la sua azione non fa distinzioni individuali e di confini, è indifferente e per noi appare spietata, ma solo perché la pietà è una qualità che attribuiamo all’umano e non vorremmo avere a che fare con qualcosa di alieno come un virus. In fondo l’umanità fin dalle sue origini ha sempre cercato di negoziare con gli eventi e le forze della natura attribuendo a esse delle qualità animistiche o antropomorfe; anche le grandi civiltà lo hanno fatto con la costruzione narrativa di elaborate cosmogonie popolate da divinità di ogni sorta.
Allora Il trauma:
Tutto quello che sta avvenendo, inopinato, senza alcuna volontà consapevole, ha fatto si che la diffusione del virus, così inaspettata e repentina abbia provocato un trauma, da cui ne consegue una reazione di angoscia che è amplificata dalla sua dimensione collettiva. Questo giustifica, anche se non convalida, in parte coloro che sposano le teorie complottiste, ovvero per costoro è preferibile pensare che qualcuno lo ha creato il virus e lo sta gestendo per manipolare il mondo. Ciò costituisce una sorta di negazione del senso di impotenza nei confronti della malattia: qualcuno la manovra e prima o poi si scoprirà il segreto, per non subire passivamente la condizione di vittime impotenti. A 
tutto questo, se ci addentriamo nella soggettività, si aggiunge il disagio emotivo intimo e profondo delle singole persone: il senso di precarietà e di morte hanno fatto irruzione nella nostra vita quotidiana. Fino a poche generazioni fa le malattie infettive e parassitarie, la mortalità infantile, e le guerre sono state le cause principali della instabilità e delle incertezze dell’esistenza. Ciò costituiva la condizione comune e normale di essere precari in questa vita, sovraccaricata di ulteriori apprensioni come la povertà, la fame, i lavori duri e usuranti ecc. oltre alla consapevolezza della sua transitorietà e sembra quasi impossibile che le persone in passato potessero vivere felici, desiderare, fare progetti.
Da alcuni decenni ci eravamo abituati a vivere con un livello di tutela della salute e di possibilità di cure mai raggiunto nella storia dell’umanità, inoltre con la certezza che nonostante le tensioni internazionali, non solo nel mondo occidentale ma anche nei paesi emergenti si sarebbe verificata una crescita economica e un’evoluzione progressiva nella cultura e nelle abitudini, come effetto positivo della globalizzazione. L’avvenire, nonostante il persistere nel mondo di grandi differenze nella possibilità di accedere ai presidi sanitari e malgrado il sussistere di focolai e conflitti locali, si prospettava in un orizzonte propizio e promettente: le cose non potevano che migliorare. La pandemia di COVID-19 in questi anni ha provocato un forte ridimensionamento di tutto ciò, spesso al punto da arrivare in molti casi a oscurare la visione del futuro.
Tante persone hanno subito la perdita di uno o a volte più familiari senza aver potuto assisterli negli ultimi istanti di vita a causa dell’isolamento nel quale erano confinati in ospedale per evitare i contagi. Ma il distacco forzato, se ha evitato il pericolo dell’infezione, non ha certamente evitato il dolore difficilmente risanabile del mancato accompagnamento del proprio congiunto verso l’epilogo della sua esistenza. L’impatto psicologico causato da queste disposizioni ritenute necessarie, è stato di una separazione che ha arrecato una grave lacerazione emotiva: la cura di questa ferita necessiterà di un profondo processo di elaborazione del lutto.
Il ruolo sempre maggiore della visione e della prospettiva scientifica e tecnologica nella definizione degli esseri umani (‘Cosa’ siamo che tende a oscillare fra la dialettica e la contrapposizione con ‘Chi’ siamo), ne determina le scelte e i comportamenti conseguenti: la conseguenza può indurre una procedura oggettiva che elimina le differenze. Nel momento in cui le decisioni pratiche vengono prese in funzione di paradigmi scientifici, è opportuno tenere presente che la scienza non è la verità rivelata, ma una certezza provvisoria e temporanea basata sulle conoscenze del momento. La scienza deve necessariamente evolvere ed essere oggetto di continui aggiustamenti e trasformazioni, man mano che progrediscono le conoscenze.
In queste conoscenze deve rientrare una pratica scientifica che comprenda anche la consapevolezza e lo studio della mente umana per quello che riguarda la soggettività, in particolare la dimensione emotiva e relazionale, in quanto le decisioni che vengono prese conseguentemente alle competenze scientifiche e tecnologiche, determinano modificazioni che incidono profondamente nella psicologia umana. Si è infatti potuto vedere come sia stato difficile gestire i contrasti provocati dalle regole da seguire nel corso della pandemia e dal modo in cui è stata affrontata l’emergenza: vaccinazione si, vaccinazione no, va resa obbligatoria o no, obbligatoria per alcune professioni, in alcuni luoghi di lavoro, derogabile per alcune classi di persone, inderogabili le mascherine per gli esercizi commerciali, in seguito le polemiche sull’obbligatorietà del green pass ecc.
Tutto ciò perché la scienza non fornisce verità assolute e non può affermare di conoscere e prevedere alla perfezione l’evoluzione della malattia e del virus, inoltre non può asserire che i vaccini sono efficaci in modo infallibile e che sono assolutamente innocui; la scienza medica può offrire conoscenza e cure che hanno una buona validità statistica e non può fare miracoli. Quindi la politica deve sapersi destreggiare in questa complessità cercando di contemperare le esigenze di libertà dei singoli con quelle della comunità, con le attività economiche e produttive, con l’istruzione scolastica e la tutela della salute pubblica.
L’esigenza di salvaguardare la salute generale arginando i contagi, ha determinato anche la necessità di vietare o limitare fortemente l’ingresso in ospedale dei congiunti dei ricoverati di tutte le patologie, anche quelle non Covid-19.
Questa disposizione per quanto forse inevitabile, non consente alla persona degente di ricevere il supporto emotivo più che mai necessario quando ci si trova a fronteggiare problemi di salute; attendere la visita dei propri familiari e amici quando si è ricoverati è una certezza carica di significato affettivo, attesa come una necessità in una circostanza così carica di incertezza come la malattia.
Anche i familiari dei pazienti ospedalizzati per COVID-19 sono esposti a minacce di perdita in vari ambiti: perdita di una persona cara, del lavoro, della sicurezza economica, dei contatti sociali e dell’autonomia di muoversi liberamente nel mondo. Inoltre l’eventuale perdita di un proprio congiunto, in queste circostanze può provocare cordoglio prolungato, caratterizzato da struggenti sentimenti di perdita accompagnati da rabbia, colpa, e altri sintomi indicativi di un intenso dolore emotivo come pensieri intrusivi e senso di vuoto e di mancanza di significato; anche la capacità di parenti e amici di fornire supporto emotivo può essere compromessa, qualora questi si trovino a loro volta fronteggiare dei problemi di salute, di lavoro, economici o pratici che li preoccupino.
La cura di queste ferite e delle conseguenze che coinvolgono una gran quantità di persone, necessiterà di un profondo processo di elaborazione del lutto.
Quando, come si spera, l’emergenza sarà rientrata, è presumibile che passata l’angoscia, persisterà un’ansia generale come segno di una forte preoccupazione relativa a quanto potrebbe ancora accadere. Le contraddizioni e soprattutto le contrapposizioni che hanno coinvolto troppo spesso coloro che hanno le responsabilità decisionali su come affrontare la crisi, hanno determinato un’amplificazione del trauma, aumentando l’angoscia e creando disorientamento nella popolazione, qualcosa di simile al trauma causato nei figli da genitori inaffidabili e incapaci di proteggere.
Il periodo angoscioso e complicato che stiamo vivendo ci impone di capire cosa stia succedendo nel profondo di noi stessi e per di più dobbiamo andare a vedere cosa accade nella vita concreta delle relazioni. Che cosa ne facciamo del nostro essere in relazione, tenuto conto dei cambiamenti indotti dalle limitazioni alla vita sociale imposte dalla pandemia e di conseguenza il fatto di avere aumentato in modo massiccio il ricorso alla connessione coi dispositivi digitali in ogni settore della nostra vita: relazioni con la famiglia allargata, smart working, didattica a distanza ecc.?

In una fase storica nella quale in occidente sono franate le grandi ideologie, senza che siano state in grado di attenuare la conflittualità tra gli stati e le fedi storiche sono ridotte a una luce flebile, le leggi del mercato e l’individualismo imperante non consentono l’emersione di una spinta collettiva che possa possedere la potenzialità trasformativa per mitigare le contraddizioni presenti in tutto il mondo. Attualmente i processi globali in corso fanno si che l’individuo si trovi inserito in un labirinto di ‘affollate solitudini’ per cui fatica a sentirsi parte di una collettività e il vuoto che egli percepisce tra sé e gli altri si traduce in un senso di impotenza; si è potuto constatare che le contraddizioni si sono evidenziate anche nella pandemia da Covid-19 non solo per l’impreparazione delle organizzazioni sanitarie, ma soprattutto con il procedere in ordine sparso da parte dei vari stati e con gli egoismi nazionalisti, specialmente nella fasi iniziali, anche se successivamente, per fortuna, la situazione è migliorata dietro la spinta del numero enorme dei contagi e il dramma delle morti.
La necessità di una ripresa vitale dopo il trauma planetario della pandemia da Covid-19 può rappresentare anche la possibilità di mettere in atto un processo, che parta per ognuno da una scelta individuale, che offre l’occasione di un recupero radicale del valore della propria soggettività a partire dal dramma comune. Ciò è reso possibile cercando di sintonizzarci e di immedesimarci con il modo in cui oltre a noi, altre persone hanno vissuto gli accadimenti di questo periodo:chi ha avuto il dolore della perdita delle persone care, coloro che si sono ammalati gravemente, chi ha perso il lavoro o lo ha diminuito e invece chi ha mantenuto o accresciuto le proprie condizioni economiche, chi non ha potuto avere accesso alle cure come nei paesi poveri. Siamo giunti a un punto in cui il rischio della dispersione dei singoli esseri umani e lo sfilacciamento della coesione sociale, richiede rimedi urgenti e un contributo a riattivare la connessione tra gli individui e la società, può essere fornito anche dalla capacità di immedesimazione empatica.
L’immedesimazione che è resa possibile dall’empatia, vale a dire la manifestazione umana specifica del nostro essere in relazione con gli altri, si esprime su diversi livelli di consapevolezza e responsabilità, relativamente alla capacità di condividere l’esperienza emotiva e mentale degli altri individui. Se consideriamo una qualità evoluta di empatia che condensando sia aspetti cognitivi che affettivi positivi promuove la vita sia propria che dell’altro, ci riferiamo a un genere di empatia che si esplica nella capacità di apprezzare il fatto che anche le altre persone sono dotate di una mente e vivono emozioni e sentimenti. Un assetto mentale che si avvale della capacità della mente di immaginare quindi di immedesimarsi, superando le differenze tra le persone e di costruire connessioni tra la propria esperienza e quella degli altri; un orientamento della nostra mente che apre a una comprensione più profonda di Sé in relazione agli altri e al mondo.
In questo modo è possibile ampliare e approfondire grandemente il nostro proprio vissuto e quindi acquisire una più ampia conoscenza di noi stessi e una maggiore consapevolezza della nostra esperienza di vita.

Le foto utilizzate su questa pagina del sito sono state realizzate da Lucia Caccia e sono di sua proprietà.

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